Dal Borgofranco ai Tizzoni
La città di Crescentino sorge su di una pianura posta alla
confluenza della Dora Baltea con il Po, ai piedi della rocca di Verrua
Savoia. Il toponimo trae origine dal personale romano, diminutivo di
Crescens, piuttosto diffuso nella Gallia Cisalpina e nel Piemonte del
secolo XIII.
Fondata nel 1242 dal comune di Vercelli come borgofranco,
ebbe difficili inizi in quanto il territorio apparteneva alla vicina
abbazia benedettina di San Genuario e quindi la sua realizzazione
incontrò una tenace resistenza da parte degli abati, sia per la
sottrazione dei fondi coltivi,
sia per lo spopolamento progressivo dei servi e dei coloni dai villaggi
che sorgevano intorno all’abbazia stessa. La favorevole posizione
geografica, l’abbondanza naturale delle acque e la fertilità del suolo,
avevano spinto i vercellesi ad edificare un nuovo borgo, necessario per
creare un avamposto sul confine della diocesi di Ivrea, nonché per
affermare la supremazia comunale in una zona politicamente vulnerabile, a
ridosso delle colline del Monferrato, i cui marchesi miravano ad
espandersi alla sinistra del Po L’affrancamento dei servi da ogni onere
feudale fu certamente il frutto di una accorta politica, mirata a
sottrarre la popolazione dal controllo abbaziale. Ma solamente dopo il
1262, attenuata la vertenza con l’abbazia di San Genuario, Crescentino
riuscì ad affermarsi autonomamente. Il tracciato originario del borgo
aveva la forma di un quadrilatero irregolare, diviso a metà da una via
principale, a sua volta intersecata da tre contrade minori. Gli edifici
dell’attuale centro storico, quantunque compromessi da fenomeni edilizi
disordinati, presentano una caratteristica strutturale piuttosto
omogenea. Di particolare interesse sono la torre civica, costruita
probabilmente verso la fine del Trecento, i portici della via centrale e
la chiesa parrocchiale, ricostruita nei secoli XVI e XIX.
All’inizio del secolo XIV, i contrasti profondi fra le varie
famiglie vercellesi dei Tizzoni e degli Avogadro degenerarono in lotte
turbolente. Nel 1310, in occasione del suo viaggio in Italia,
l’imperatore Enrico VII sciolse il borgofranco di Crescentino dal
vincolo di dipendenza comunale e lo concesse a Riccardo Tizzoni, fautore
della fazione imperiale. La ratifica di tale atto da parte dei
crescentinesi avvenne in modo solenne il 7 aprile 1315 e così ebbe
origine un piccolo organismo signorile che dovette poi inevitabilmente
scontrarsi con le comunità vicine, in modo particolare con l’abbazia di
San Genuario. I vicini fondi coltivi di questa abbazia, oramai in
declino, costituivano infatti una indubbia attrattiva e la loro
annessione 2 Crescentino avrebbe recato un aumento di ricchezza e di
prestigio. Consolidate quindi le condizioni signorili nell’interno del
borgo, i Tizzoni decisero un’azione graduale, ma ben mirata, contro il
monastero, saccheggiando ripetutamente i territori dei villaggi
circostanti. Le violenze dovettero essere piuttosto consistenti, tanto
da indurre Eusebio di Tronzano, vicario generale della diocesi di
Vercelli, ad intimare nel 1319 al podestà e alla popolazione di
Crescentino la restituzione di tutti i beni terrieri indebitamente
occupati. Inutili ed infruttuosi furono i ricorsi dei monaci al papa. Il
27 febbraio 1335, presso il castello di Verrua, un antico baluardo che
si ergeva come sentinella vigilante sulla collina a destra del Po, si
giunse ad un accordo, mediante il quale l’abate Bonifacio di San
Genuario concedeva in comunione con i coloni dell’abbazia stessa il
tenimento denominato Apertole.
A Riccardo Tizzoni, morto nel 1343, era successo il figlio
Antonio. Questi mantenne buoni rapporti coi paesi vicini, promulgò gli
Statuti, favorì l’agricoltura e il dissodamento dell’incolto. In questo
periodo, caratterizzato dall’egemonia viscontea, il marchese di
Monferrato, Giovanni Paleologo, riuscì ad ottenere dall’imperatore Carlo
IV l’investitura di Crescentino e Verrua, senza averne però l’effettivo
dominio. Quando nel 1364 venne stipulata la tregua tra Monferrato e
Visconti, i Tizzoni di Crescentino si allinearono alle proposte di pace
ed il paese conobbe un periodo di prosperità. Col passaggio del castello
di Verrua dal dominio vescovile a quello sabaudo nel 1387, si
attenuarono pure le contese con le comunità vicine. Nel 1409, Giacomo
Tizzoni, figlio di Riccardo II, si accordò col cugino Antonio, abate di
San Genuario, per controllare economicamente i territori abba-ziali,
inviando un’istanza a papa Martino V, nella quale affermava che le
grange del monastero, retaggio di un antico splendore, erano deserte da
circa mezzo secolo e si dichiarava disponibile a costruire un castello
per la difesa del luogo in cambio dell’investitura di metà dei
territori. Pur avendo ottenuto l’approvazione pontificia, l’abate, avuto
sentore delle trame del cugino, cambiò parere e ricusò la stipula del
contratto. Tale problema si trascinò stancamente fino al 1427, allorché
Filippo Maria Visconti sottoscrisse un trattato di pace con Amedeo Vili
di Savoia, separandolo dalla lega anti-viscontea. L’accordo venne
suggellato col matrimonio della figlia del duca di Savoia col Visconti.
Così la città ed il territorio di Vercelli passarono sotto il dominio
sabaudo. Giacomo Tizzoni, tradizionalmente legato ai Visconti, in
presenza di questi avvenimenti che avevano mutato bruscamente l’assetto
politico, inviò i suoi ambasciatori al papa e alla corte di Amedeo Vili,
per sollecitare l’infeudazione di San Genuario e neutralizzare così
l’opposizione dell’abate. Mentre fervevano intense pressioni
diplomatiche onde raggiungere l’annessione di metà delle grange
abbaziali, dall’altro versante i Tizzoni conseguirono un importante
traguardo presso la corte dell’imperatore Sigismondo: l’erezione di
Crescentino in contea (27 settembre 1434) e la creazione di Giacomo tori
dei villaggi circostanti.